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IL RINOMATO GRAN CONCERTO BANDISTICO
Il rinomato gran concerto bandistico di Pescosolido nacque per una
ripicca.
Si racconta che per le feste patronali del 1850 fu chiamata la
banda di una città vicina e, per risparmiare sulle spese, il pranzo ai
musicanti fu offerto da una famiglia benestante del paese. I musicanti
arrivarono, si sedettero a tavola, mangiarono e bevvero a sazietà; poi si
alzarono per andarsene e, mentre si accomiatavano, il capofamiglia domandò
loro se erano rimasti soddisfatti.
- Certo, certo! – rispose il capobanda - Il pranzo è stato
ottimo: vario, abbondante e perfettamente preparato. Solo che è mancato
il caffè. Ah, sì? Pure il caffè volevano? Ed allora mai più bande forestiere, a Pescosolido. E fu deciso di dar vita ad una banda locale, tutta pescosolidana. Fu chiamato il maestro, un certo Cordon, il quale si mise subito al lavoro e dopo qualche tempo condusse gli allievi in piazza a tenere il primo servizio musicale, con grande soddisfazione di tutti, specialmente dei maggiorenti del paese. Nel giro di qualche anno, i musicanti raggiunsero un livello di bravura notevole, tanto che venivano chiamati a prestar servizio in quasi tutti i paesi del circondario. Ma il periodo migliore per la banda si ebbe a partire dal 1880, con l’arrivo in paese di maestri particolarmente esperti, come Carotenuto, che proveniva dal Conservatorio di S. Pietro a Maiella di Napoli e che rimase a Pescosolido per circa 20 anni, Pasquale Puca (1901-1916), P. Riverso (1917-1919), Alessandro Siciliani (1920-1922), Pietro Forchetta (1923) e Pietro Cirillo (1924).[1]
1° Gennaio 1901: La “Banda Rossa Municipale di Pescosolido (Caserta)” in posa di fronte
all’attuale sede comunale. Al
centro, senza divisa, (da sin.) il segretario comunale Pietro
Giovannetti[2],
il direttore amministrativo Alfonso Mariani, il maestro Pasquale Puca e zi’
Leveggine glie cecate. In prima fila,
seduti, Giuseppe Cicchinelli (ottavino), Carlo Ciccolini (Mastrangele, clarinetto), Pasquale Sarra (Mplì), Ginotto Perruzza, D’Andrea, Francesco Sarrecchia (Trombetta),
Elia Guadagni (Lióne) e Antonio di Carlo. In
seconda fila: 1° Francesco Ciccolini (Quartine,
clarinetto, sposò una donna di Villavallelonga conosciuta durante un
servizio della banda nella cittadina marsicana), 2° Giuseppe Marrone. In
terza fila: 1° Vincenzo Cancelli (padre de
Ceccucce glie Ferrare) con il tamburo, 3° Alfonso Sarra (Fornare,
piatti), 4° Carlucce Cianfarani
(piattini), 5° Valentino Mancini, penultimo Peppe Paglia, ultimo
Francesco Palmerini (gran virtuoso di bombardino, specialmente“dopo aver bevuto un bicchiere di quello buono”). In
quarta fila: 1° Maddìa Tuórte (basso Sib), 3° Giuseppe Scenna (Postine, basso Sib), 4° Francesco Sarrecchia, (Ceccotta, basso Sib), 5° Sante Ciccolini (padre deglie
Quartine), 6° Bellisario Cicchinelli, ultimo il carabiniere “Forca”
(Tersigni). Il riconoscimento dei personaggi su riportati è dovuto alla memoria di Romano Ciccolini e ad alcune annotazioni fatte a margine della foto da Giuseppe Cicchinelli.
Una volta la banda si sciolse (pare per colpa di una donna, forestiera, che fece perdere la testa al maestro, che abbandonò il paese). Ma poi i ranghi si ricompattarono e il “concerto di Pescosolido, risorto a nuova e brillante vita, diretto dal valoroso maestro Pasquale Puca di Pianella”[3], tornò a calcare la scena mietendo successi a non finire. Pasquale Puca era tipo piuttosto energico e risoluto. Una sera al concerto vide che mancava Pasqualine, il piattista, e - Perché manca?- domandò. - Ha detto che non viene più: s’è stufato della banda. - gli fu risposto. - Ah, sì? Aspettate un attimo. - soggiunse. E se ne uscì, andò alla Civitella a trovare Pasqualine (che stava in casa della sua ragazza), gli dette un paio di calci nel sedere e lo riportò al concerto. Da quella sera Pasqualine non mancò più al concerto. Altri tempi! Il maestro Riverso, in omaggio al nostro paese, compose una bella marcia dal titolo “Un saluto a Pescosolido”, che ancora oggi, edita dalla casa Tito Belati di Ponte S. Giovanni (PG), viene eseguita da alcune bande.
Nella seconda metà degli anni Venti a Pescosolido tornò Alessandro Siciliani (1887-1969)[4], che rimase fino alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale.
Fratello maggiore di Manfredo (altro maestro di banda) e di Temistocle (Mestecucce, che suonava il bombardino), da giovane aveva fatto il solista di flicorno tenore in Germania, conteso a colpi di marchi dalle migliori orchestre sinfoniche. Tornato in Italia ed assolto il dovere di combattente nella Guerra del 1915-18, intraprese la carriera di maestro di banda operando a Balsorano, nella provincia di Roma, a Pescosolido, a Villavallelonga ed a Rendinara. Fu un perfezionista: curava in modo particolare i crescendo, i diminuendo, i piano, i forte e quant’altro fa parte del colorito musicale. “E per questo fu un incompreso”.[5] A Pescosolido insegnò musica a tanti giovani (mentre la moglie Elena trascorreva il tempo a fare artistici ricami). Furono suoi allievi Giuseppe Mancini (clarinetto), Antonio Ciccolini (sax soprano), Sabatino Magnante (tamburo) e tanti altri bravissimi musicanti. Nel 1955 il maestro Alessandro tornò per la terza volta a Pescosolido, per tenere un corso di orientamento musicale con indirizzo corale, a cui parteciparono entusiasticamente quasi tutti i giovani del paese. La banda di Pescosolido, specialmente nel periodo che va dal 1900 al 1938, raggiunse il massimo della notorietà: ovunque si presentasse, si distingueva per bravura, organizzazione e puntualità. Per un certo periodo al suo seguito ci fu anche zi’ Leveggine glie cecate[6], che era l’organista della chiesa e cantava anche (aveva una voce bella e potente). Nella banda suonava il flauto; però eseguiva un pezzo solo, Il pastore svizzero di Morlacchi, ed ogni volta era un successo: con tutti quei trilli, arpeggi, gorgheggi e variazioni che solo lui sapeva fare, mandava in visibilio gli ascoltatori. Il 1910 fu un anno particolare per la banda. Dovendosi rinnovare lo “strumentale” e le “uniformi”, si ricorse ad una pubblica sottoscrizione per reperire i fondi necessari; ma si racimolarono solo “poche decine di lire”. Allora intervenne la Commissione della banda: il presidente, cavalier Alfonso Mariani, anticipò (di tasca propria) 3131 lire; il maestro Puca consentì che “s’invertisse il suo stipendio di più mesi” rimanendo così “scoverto della somma rilasciata”; gli altri componenti della Commissione provvidero al resto sottoscrivendo delle “obbligazioni”. Si procedette quindi all’acquisto di strumenti e divise e, così rimessa a nuovo, la banda anche quell’anno potè effettuare il consueto “giro artistico”, ma con una differenza: il successo fu più strepitoso degli anni precedenti, come ampiamente “attestato da telegrammi e certificati spediti al Sindaco e resi di pubblica ragione, nonche da lusinghieri articoli pubblicati dai giornali”. Ottimamente. Però i debiti rimanevano. Come saldarli? Si ricorse al Comune. Il Consiglio Comunale, riconosciuta “giusta e doverosa” la richiesta fatta e considerato che “nei tanti anni trascorsi giammai il Comune aveva sostenuto spesa alcuna per simili bisogni avendovi sempre provveduto la Direzione del Concerto”, all’unanimità decise di saldare i debiti “mercè due pagamenti, prelevando il primo dal possibile supero che si ricaverà dalla vendita della 7.a Sezione del bosco” e per il secondo stanziando un apposito fondo nell’esercizio finanziario dell’anno successivo (1911).[7] Ma nonostante l’impegno assunto, il Comune riuscì a saldare solo una parte dei debiti. Sei anni dopo il cavalier Mariani ancora doveva rientrare in possesso delle somme “spese graziosamente per acquisto di istrumenti musicali”. “Non abbiamo quattrini” si giustificavano al Comune. “A V. S. e a tutti i Signori Consiglieri – ribatteva il cavaliere da Isola del Liri con una lettera diretta al sindaco - è noto quali urgenti spese io avessi sostenuto pel mantenimento del Concerto Musicale che fu lustro e decoro di cotesto Paese e siccome nessuno meglio di me conosce quali siano le condizioni economiche del Comune[8] per avere avuto l’onore di amministrarlo per molti anni, così mi faccio a richiedere quanto il Consiglio stabilì con la su citata deliberazione, oltre agli stipendi da me pagati al Maestro del Concerto. Dev.mo Alfonso Mariani.”[9]
Durante il Fascismo la banda venne sistematicamente utilizzata per
solennizzare le “feste civili e
nazionali”, come il 24 Maggio (dichiarazione di guerra all’Austria
nel 1915), il 28 Ottobre (“marcia su Roma” nel 1922), l’“annuale
della fondazione dei fasci di combattimento”[10],
la “ricorrenza dello Statuto”[11]
ecc. Per il servizio prestato in tali ricorrenze riceveva il dovuto
compenso dall’Amministrazione Comunale, come risulta da alcune
“determinazioni” adottate nel 1926 e nel 1927 dal podestà Vincenzo
Leone[12]
“in favore del Maestro Direttore
del Concerto Musicale Sig. Siciliani Alessandro”.[13]
Però, visto che nelle feste civili e nazionali si ricorreva
sistematicamente alla banda, tanto valeva regolare la cosa una volta per
tutte. Fu deciso allora di affidare al maestro della banda una scuola
serale di musica per “fanciulli e
giovanetti” del paese, con conseguente adeguato compenso. Con due
successive deliberazioni (5 Febbraio e 19 Marzo 1927) si stabilì, tra
l’altro, che gli allievi avrebbero ricevuto “non
meno di 10 ore di lezione la settimana” e sarebbero stati “addestrati
al canto e a suonare uno strumento a fiato od a corda per la durata di
mesi 10 con inizio stabilito anno per anno dal Podestà d’accordo con il
Maestro.” La cosa però non piacque alla G. P. A.[14],
che bloccò il provvedimento ritenendolo “non meritevole di approvazione di fronte alla grave situazione
finanziaria del Comune di Pescosolido che applica, oltreché tutte le
tasse possibili, una eccedenza di sovrimposta di L. 31488 sul limite
bloccato del 1922, e tale eccedenza è già eguale al triplo di detto
blocco.”[15]
Il podestà, che alla banda teneva moltissimo, rispose alla G. P. A.
elencando tutte le ragioni che rendevano indispensabile l’istituzione
della scuola serale: “La somma di
L. 3000 stanziata per compenso al maestro per la scuola in parola, non è
effettivamente un grande aggravio per il Comune in considerazione che se
si vuole regolarmente pagare il Concerto per il servizio che presta in
ogni solennità civile e Nazionale ricorrenti nell’anno occorrono per lo
meno L. 5000”; corrispondendo invece lo stipendo al maestro, la
banda si sarebbe assunto “l’obbligo
di fare servizio in tutte le ricorrenze senza pretendere alcun compenso”;
Pescosolido, essendo situato a 630 m. d’altitudine, era “destinato
a divenire stazione climatica e di villeggiatura per l’aria e l’acqua
salubre; i forestieri che vengono nella stagione estiva non hanno alcun
divago all’infuori di quel po’ di musica che si sente nei giorni
festivi; la popolazione del centro è composta di quasi tutti artigiani e
che perciò l’accorrere di forestieri da un utile ai cittadini;” la
banda, che esisteva “fin dal
1854”, negli anni trascorsi aveva sempre ricevuto un contributo per
il suo mantenimento, contributo
sospeso solo nel periodo bellico, “quando
per la mobilitazione generale quasi tutti i musicanti furono chiamati a
prestare servizio e per forza maggiore disciolta la Banda.” Per
tutte queste ragioni il podestà confermò l’istituzione della scuola
serale di musica ed il relativo stipendio al maestro, annotando nel
dispositivo che “i musicanti
(circa 40) ricavano l’utile per l’esistenza delle loro famiglie per
buona parte dell’anno. Mancando ad essi tale cespite di entrata,
sarebbero costretti ad emigrare per trovare lavoro, con grave disagio
delle loro famiglie”.[16]
Fu fatto anche un elenco dei musicanti “obbligati” a prestare il servizio gratuito nelle ricorrenze civili
e nazionali (ma solo alcuni vi apposero la propria firma).[17]
Le cose, così sistemate, procedettero nel modo migliore per alcuni
anni: gli allievi frequentavano con profitto la scuola serale, il maestro
riscuoteva regolarmente lo stipendio, la banda prestava il servizio
gratuitamente nelle ricorrenze civili e nazionali… Ma la situazione
cambiò nell’autunno del 1931, quando il maestro improvvisamente se ne
tornò a Balsorano, “per motivi
finanziari” si giustificò poi con il podestà che gli chiedeva
spiegazioni. I musicanti, rimasti senza maestro, pensarono di ricorrere
all’opera di Bellisario Cicchinelli, illustre solista di flicorno tenore
nonché prestigioso direttore d’orchestra, da poco tornato
dall’estero. Ma Bellisario, che probabilmente temeva di danneggiare in
qualche modo il maestro Alessandro, tirò la cosa per le lunghe, in attesa
che la situazione si definisse meglio. Allora i musicanti, spazientiti,
scrissero una lettera al podestà chiedendogli di confermare “lo
stipendio al Maestro Direttore di Banda Sig. Siciliani Alessandro di
Balsorano (AQ) poiché non è più possibile la proposta da noi fatta per
il Sig. Cicchinelli Bellisario, non per mancanza di abilità ma perché
troppo tardi è avvenuta la sua decisione, quindi siccome è già tardi
per la riformazione della piccola Banda? e necessaria la vecchia
direzzione”. Il podestà accolse la richiesta e, considerato che il
Concerto Civico, oltre a dimostrare “gentilezza
d’animo e decoro del paese”, costituiva anche “una fonte di lucro per quelli che lo compongono; considerato che se non
si mantenesse la Scuola (serale di musica) non potrebbero sorgere nuovi elementi in sostituzione dei vecchi ed il
Concerto verrebbe a cadere con rilevante danno finanziario dei componenti
di esso; considerato che la scuola di musica e canto gratuita è
una cultura popolare e che dal popolo sono spesso sorti i genii
dell’arte che sono vanto della nostra Nazione e che l’attuale Governo
facilita ed incoraggia”, conferì nuovamente ad Alessandro Siciliani
l’incarico di dirigere la scuola serale di musica e canto, fissandogli
uno stipendio di 4.000 lire annue “da pagarsi a dodicesimi postecipati con la sola ritenuta della
Ricchezza Mobile e con l’obbligo di impartire gratuitamente lezioni di
musica e canto ai giovanetti di ambo i sessi del Comune di Pescosolido con
orario giornaliero da fissarsi di accordo col Podestà”. Sempre con
l’intesa che la banda cittadina doveva prestare servizio gratuito “in tutte le feste Nazionali ed in altre circostanze straordinarie, ma di
indole Nazionale, con l’intervento della totalità dei componenti vestiti
in uniforme restando passibili di una multa di L. 15 per ogni assenza”
fatta senza giustificato motivo. L’“onorevole
G.P.A.” approvò il conferimento dell’incarico, ma “per
ragioni economiche ” ridusse lo stipendio del maestro a 1.800 lire
annue. Il maestro Alessandro, nonostante la drastica riduzione dello
stipendio, tornò ad insegnare nella scuola serale fino al 1936, quando il
podestà gli comunicò che l’Amministrazione Comunale, a causa delle “disastrose condizioni di bilancio”, non era più in grado di “mantenere
e sussidiare la scuola serale di musica e canto” e pertanto, a
partire dall’anno successivo, bisognava interrompere “la
preziosa opera (fin lì) svolta
per la elevazione nella cultura musicale”.[18]
Seconda metà degli anni Venti: la banda di Pescosolido ad Ardea per la la festa di Maria SS. del Rosario. In terza fila Nicolino Giovannetti e Peppino Cicchinelli (cappello nero, sax e partitura sul leggio); all’estrema destra, Carlucce Cianfarani con i piatti. 5° in quarta fila Alfonso Sarra (cappello chiaro e bombardino). I
musicanti, come si vede, non hanno divisa; ma qualche anno dopo se ne
procureranno una tutta rossa con la sciazza
(o battichiappe) e verranno chiamati “diavoli rossi” (sia per la
divisa indossata che per la bravura). Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale fu Bellisario Cicchinelli (1880-1974)
che si assunse l’onere di riorganizzare la
banda. Tipo quanto
Arturo Toscanini, il famoso e sanguigno direttore d’orchestra,
durante una tournée in America (1916) conobbe Bellisario, ne apprezzò le
qualità artistiche e gli fece dono di una sua foto con dedica in segno di
stima e di amicizia. Bellisario rimase in America per oltre venti anni,
durante i quali lavorò e fece amicizia con diversi altri orchestrali di
origine italiana.
Tornato in paese, si riprese la bottega che, emigrando, aveva
lasciato al cognato Augusto Ruggieri; ne tappezzò le pareti con foto,
locandine e ritagli di giornale che illustravano i momenti più
significativi della sua brillante carriera artistica, e riprese a
lavorare. Ma non più da calzolaio, bensì da barbiere (svolgendo il nuovo
mestiere molto bene, anche). Ora, tra una barba ed un taglio di capelli,
trovava anche il tempo per insegnare musica ai giovani del paese. Teneva
le lezioni nello scantinato della sua abitazione (che ancora oggi dà su
via Guglielmo Marconi). Dal suo insegnamento nacque una nuova generazione
di musicanti: Giuseppe Appugliesi, Franco Corsetti, i fratelli Idolo,
Francesco e Luigi Sarra; i fratelli Giuseppe, Raffaele, Angelo e Giustino
Sarra, Mario Scenna (portalettere), Orlando Tersigni, Giosuè Ciccolini,
Michele D’Ambrosio, Luigi Messersì-Cicchinelli e tanti altri.
Tra gli allievi ci fu anche Eliso Petricca. A lui Bellisario
cedette il bombardino. Nel consegnarglielo, pianse. Ovviamente. Con quello
strumento aveva vissuto i momenti più intensi della sua vita: studiando,
viaggiando, calcando la scena musicale, trepidando, godendo, soffrendo,
mietendo successi. Ma dette allo strumento la collocazione più giusta.
Eliso, infatti, in breve tempo divenne un ottimo solista di bombardino e
poi, diplomatosi al conservatorio di S. Cecilia di Roma, un prestigioso
maestro di banda. Diresse le bande di Aprilia, Ginestra (RI), Rieti e
Cascia (PG). Anche Angelantonio Petricca, fratello di Eliso, fu allievo di Bellisario Cicchinelli. Bravo suonatore di tromba in Mib, si trasferì ad Ardea (Roma), dove formò e diresse una banda, insegnò musica nelle scuole medie statali e continuò a suonare la tromba nelle bande di Albano e di Aprilia, nella fanfara dei Bersaglieri e nel Gruppo Folkloristico di Vallepietra. E’ colui che, da anni ormai, ad agosto torna in paese ed ogni giorno, alle ore 13 precise, sale sulla terrazza di Mario Scenna e suona la tromba per annunciarci che “La zuppa l’è cotta”.
Con tutti questi musicanti e con quelli della vecchia guardia,
Bellisario Cicchinelli riportò la banda di Pescosolido agli antichi
splendori. Ma dopo qualche anno, a causa dell’età e della stanchezza,
lasciò l’incarico a Roberto Pozzuoli. Anche questi, però, dopo qualche
anno lasciò l’incarico per andare a dirigere la banda d’Alvito. A
Pescosolido allora fu chiamato il maestro compositore Manfredo Siciliani.
Era il 1953. Manfredo Siciliani (1883-1962),
diplomato in strumentazione e composizine al Conservatorio di
Santa Cecilia di Roma, aveva già
diretto diverse bande (Vicovaro, Castel Madama, Subiaco, Balsorano)
nonché l’Orchestra del Dopolavoro Ferroviario di Tivoli e l’Orchestra
Sinfonica di Levico. Geniale compositore di musica per banda e orchestra,
era stato premiato con diverse medaglie d’oro e d’argento. Fu membro
dell’Accademia Mondiale dei
Professionisti e Artisti. Compose pezzi caratteristici (Signorina,
Ecco l’amore e Le
ragazze abissine, che furono incisi anche su films), sinfonie
(L’Assedio,Le
Fontane di Villa
Arrivato a Pescosolido, il maestro Manfredo, sebbene molti
musicanti fossero emigrati[19]
o passati a miglior vita[20],
poteva ancora contare su organico di tutto rispetto, composto da oltre 50
elementi. Ne facevano parte Alfonze
Bennardèlla[21],
organizzatore e “fiduciario
esclusivo”, Nine Cardélla[22],
clarinetto in Mib e capobanda artistico, Cecchenèlle[23]
(sax basso), Cecchenellitte[24]
(bombardino), Trombétta[25]
(flicornino solista), Giuseppe Appugliesi (bombardino)[26],
Ceccucce glie
Ferrare Cancelli (timpani), Giuseppe Sarra Sacrestane
(trombone), Giggitte Sarra
(tromba Sib), Idolo Sarra (tromba Sib solista), Angelo Sarra (tromba Sib),
Basilio Cianfarani (tromba Sib), Franco Corsetti (sax tenore), Mario
Scenna Postine (clarinetto), Sabatino Magnante (tamburo e poi piatti),
Francesco Sarrecchia (flicorno contralto), Peppenucce
Sarrecchia (tromba Sib), Tullio Sarrecchia (pistoncino Mib), Giuseppe
Mancini (clarinetto solista), Antonio Ciccolini (sax soprano), Domenico
Palmerini (flicorno tenore), Natalino Ciccolini (clarone Sib), Pasquale
Cancelli (clarinetto), Alfonso Sarra Fornare
(piatti), Eolo Palmerini (clarinetto), Pasqualino Catenaro Pazzì (tromboncino), Luigi Cancelli (pistoncino Mib), Isaia
Cancelli (tromba Sib), Emilio Tersigni (tromba Sib solista) e, tra le
giovani leve, Orlando Tersigni (basso Sib), Romanine
Trombetta[27]
(tamburo), Luigi Cicchinelli (sax soprano), Michele D’Ambrosio (flicornino
Mib), Giustino Sarra (tromba Sib), Giosuè Ciccolini (tromba Sib) e chi
qui scrive (oboe). A questi si aggiunsero alcuni musicanti di Balsorano
(tra cui Mestecucce Siciliani,
bombardino, Benedetto Tatangelo, clarinetto solista, Otello Tuzi, corno,
Santino Tuzi, clarinetto Sib, Vincenzo Guadagni Pepitte, basso Sib), altri di Sora (tra cui Cragnane, Lombardozze,
Enrico, Isaia, Tonino e Carmine Di Pede), Eugenio Toto (flicorno baritono)
di Campoli Appennino, Fausto Abballe (clarinetto) di Monte S. Giovanni
Campano ed altri ancora.
Quanti bei “pezzi” in repertorio! La Carmen,
la Norma, la Sonnambula, la Traviata,
il Trovatore, il Barbiere di Siviglia, i Lombardi
alla Prima Crociata, il Rigoletto,
il Mefistofele, la Lucia
di Lammermoor, il Pescatore di
Perle, l’Incompiuta (o Angeli
senza Paradiso), L’Assedio,
Le Fontane di Villa d’Este, Le
Campane della Vittoria, il Canzoniere…
E quante belle marce! Quella dell’Ernani,
Piergiorgio, Latina, Idinia,
Giro Notturno, Pi,
Eureka, Fertik, Numero 8, Mariella…
Tra le tante marce suonavamo anche “la
14”, che ribattezzammo in “la
solita” poiché la eseguivamo con soprendente frequenza, tanto da
farla diventare il pezzo distintivo della nostra banda.
Spesso ce n’andavamo “in giro” per parecchi giorni di
seguito: nella provincia di Rieti, in quella di Roma, nell’Abruzzo e
perfino nelle Marche. Dovunque ci presentavamo, venivamo accolti con
festosa cordialità. Cominciavamo sempre con qualche marcia dal portamento
solenne e deciso, come Latina, Idinia o Mariella.
Ai primi squilli ogni cosa intorno a noi sembrava scuotersi, aprirsi alla
gioia e sorridere. E così la festa iniziava nel migliore dei modi.
Le
colonne della banda di Pescosolido: il capobanda amministrativo Alfonso
Sarra (Bennardèlla) ed il capobanda artistico Giovanni Toto (Nine
Cardélla).
Zi’ Peppine
Zi’
Peppine
era un ottimo suonatore di sax basso: sempre puntuale, preciso e sicuro.
Le note le “ricamava”,
lui; solo che a volte esse “non
risultavano”
(risaltavano), poiché venivano coperte dagli altri strumenti (dagli
ottoni specialmente) che suonavano troppo forte, e
allora lui protestava (giustamente,
direi).
Anch’egli
era un tipo piuttosto irascibile; sicché alcune teste gloriose (sempre le
solite) ogni tanto gli facevano qualche scherzo per farlo arrabbiare. Una
volta che, per andare a farsi un bicchiere in cantina, aveva lasciato lo
strumento sul palco, Postine
e
Tamburrine
ci sfilarono il bocchino e ci infilarono dentro una zampa di pollo; poi,
rimesso tutto a posto, si misero in un angolo ad aspettare. Poco dopo,
risaliti tutti sulla cassarmonica per eseguire la “Madama Butterflay”,
zi’
Peppine
si apprestò ad
attaccare il “coro a bocca chiusa”. Si mise pronto, al cenno
del maestro soffiò nello strumento aspettandosi un bel poooh
profondo
e delicato e invece uscì fuori un pfiiih
a
metà tra il fischio e la pernacchia. “Si sarà spostata l’ancia”
pensò e lesto lesto la controllò stringendo meglio le due viti, che già
erano strette abbastanza; ma intanto era giunto il momento di suonare la
seconda nota, soffiò con più decisione, ma anche questa volta, anziché
un bel poooh
profondo e delicato, venne fuori un pfiiih
stridente e sguaiato. Allora smise di suonare, smontò lo strumento e,
scoperta la causa del fischio-pernacchia, apriti cielo!, si mise a
sacramentare ad alta voce minacciando a dritta e a manca. Il capobanda ed
altri si adoperarono per calmarlo; ma quello non voleva saperne ed anzi
diceva di volersene andare per non tornare mai più. Solo quando furono
promesse gravi sanzioni ai responsabili (se fossero stati scoperti), - Pe
té, pe té le facce!
– esclamò zi’
Peppine rivolto
al maestro (che era rimasto sul podio ad aspettare con la bacchetta in
mano); si ricompose, sistemò lo strumento, lo provò (oh, ora sì che
produceva un bel poooh!)
e finalmente il concerto poté riprendere.
Zi’
Peppine
aveva un cruccio: tutti eseguivano ballabili e lui doveva fare sempre
l’accompagnamento. Non era giusto, perbacco. Allora corse ai ripari. Si
mise a cercare un ballabile per il suo sax; non trovandolo, ne compose uno
lui: un valzer, semplice ma bello e arioso. E cominciò a suonarlo nei
ritagli di tempo, tra un “pezzo” e l’altro o quando, nel primo
pomeriggio, ci suddividevamo in gruppetti di 4-5 musicanti e ce
n’andavamo con i festaroli a fare la questua per le strade del paese.
Una notte, mentre gli altri musicanti dormivano nell’alloggio, zi’
Peppine
andò a suonare il suo valzer per le strade di Vicovaro, per portare la
serenata al paese (diceva lui). Lo accompagnavano Francescucce
ed un altro paio di teste allegre (che quella sera avevano bevuto più del
solito). Zi’
Peppine
eseguiva la melodia con quelle note profonde, che nel silenzio della notte
parevano ancora più profonde e sensuali del solito; Francescucce
eseguiva l’accompagnamento emettendo le note più acute di cui il suo
clarinetto fosse capace; mentre gli altri due, estasiati, assecondavano il
tutto con lievissime percussioni sulla grancassa e sul tamburo. Mestecucce
ascoltò la serenata dall’alloggio: gli piacque moltissimo, si commosse
e non riuscì più a prendere sonno per il resto della nottata; ma al
mattino aveva pronti i versi da applicare al valzer. E così potemmo
disporre di quest’altra stupenda pagina musicale.
La notte di Natale
Ma i versi non piacquero a zi’
Peppine,
il quale anzi li rifiutò decisamente: risultavano poco adatti
all’austerità del valzer. Invece piacquero moltissimo a zi’
Ceccucce,
il quale li trovò molto appropriati e quanto mai divertenti e perciò
prese a cantarli ogniqualvolta zi’
Peppine
attaccava il suo valzer. Zi’
Peppine
allora s’infuriava e prometteva esecuzioni sommarie sia all’autore (Mestecucce)
sia al cantore (zi’
Ceccucce).
Quest’ultimo allora, senza scomporsi, prendeva il bombardino ed intonava
anch’egli un valzer: iniziava con un MI
minore
languido ed appassionato, per esplodere poi in un bel SOL
maggiore
sfrontato e ridanciano (e che, visto il contesto in cui veniva eseguito,
risultava decisamente canzonatorio). Mestecucce
allora, risentito sia contro l’uno (che aveva rifiutato i versi) sia
contro l’altro (che continuava a cantarli), prendeva anch’egli il
bombardino ed eseguiva un altro valzer: era tutto in SOL
maggiore
ed evocava l’immagine di chi se ne va comodamente a spasso ed
improvvisamente si mette a correre alla ricerca di qualcosa che non trova,
poi torna a passeggiare comodamente e quindi riprende a correre senza
fermarsi più, come se il correre fosse diventata l’ultima sua ragion
d’essere (zi’
Peppine,
intanto, se n’era andato da un bel pezzo, per sfogarsi con un bicchiere
di vino). Mentre i tre litigavano a colpi di valzer (che bello!), noi
ragazzi facevamo l’accompagnamento, esercitando l’orecchio al ritmo,
agli accordi ed al cambio di tonalità, tentando anche qualche timida
variazioni sul tema.
Facevamo
queste cose soprattutto nelle feste di campagna, quando andavamo con i
festaroli a fare la questua o
mentre ci riposavamo tra un “pezzo” e l’altro standocene
seduti sull’argine di un viottolo, su un muretto o davanti ad una tenda
che fungeva da cantina. Con gran divertimento di tutti.
Il maestro Manfredo Siciliani rimase a Pescosolido per un paio di
stagioni. Poi andò via, in quanto la banda si sciolse a causa
dell’emigrazione che portò molti musicanti lontano dal paese. E così
il “Rinomato Gran Concerto Bandistico Città di Pescosolido” concluse
la sua esaltante avventura artistica, dopo oltre cento anni di vita. Il
maestro, invece, andò a dirigere la banda di Villavallelonga, portando
con sé i pochi musicanti rimasti a Pescosolido; ma dopo pochi anni
concluse anch’egli la sua avventura artistica e terrena, volandosene
verso altre armonie, quelle eterne.
Intanto noi che eravamo rimasti in paese, quando eravamo liberi
dagli impegni con le bande di Villavallelonga, Pescina, Monte S. G.
Campano ecc., sebbene fossimo in pochi, imperterriti continuavamo a
suonare “la solita” nelle
piccole feste e nelle processioni che si facevano nel circondario. A
volte, non riuscendo a trovare rinforzi, ci presentavamo in 5 o 6 elementi
(oboe e clarinetto per il canto, sax e tromba per il controcanto, piatti e
grancassa per l’accompagnamento) e facevamo ugualmente la nostra brava
figura. Sempre suonando “la
solita”. Unico problema erano i piatti e la grancassa che, suonando
troppo forte, coprivano il canto e il controcanto. Parlando della banda di Pescosolido, è doveroso ricordare una singolare figura d’artista: Roberto Pozzuoli (1918-1997).
Allievo di Alessandro Siciliani[28],
da giovane fu un ottimo solista
di trombone (ma suonava benissimo anche la fisarmonica). Egli però, più
che il solista, “Un saluto a Pescosolido”
La marcia che il maestro Riverso compose
durante la sua permanenza a Pescosolido
(1917-1919). Nel
Secondo Dopoguerra dalle nostre parti, oltre alla banda di Pescosolido,
operavano anche altre bande: Sora, Avezzano, Sulmona, Lanciano,
l’Aquila, Chieti, Pescara, Teramo, Campobasso ecc., tutte composte da
artigiani: calzolai, barbieri, sarti, muratori, fabbri ecc., i quali ad
un certo punto chiudevano bottega e se ne andavano a suonare nei paesi
in festa, assentandosi anche per diversi giorni (lavorando in proprio,
potevano farlo). Erano i cosiddetti “zingari del pentagramma” che,
conoscendo bene l’arte dell’arrangiarsi (nella musica come nella
vita), si spostavano da un paese all’altro utilizzando i mezzi più
disparati: autobus di linea o da noleggio, treno, taxi ed anche il
“cavallo di San Francesco” quando le località da raggiungere erano
prive di strade rotabili (erano tante, allora, le località che si
potevano raggiungere solo a piedi). Viaggiavano di notte per trovarsi a
destinazione alle prime ore del mattino (in ogni paese, più che con le
campane della chiesa, la festa vera, quella da trascorrere tutti insieme
con tanta allegria, iniziava con le prime note suonate dalla banda) e se
il servizio durava più giorni, i musicanti pernottavano in qualche
vecchio locale, dormendo tutti insieme su un poco di paglia sparsa sul
pavimento (solo al maestro ed ai solisti era riservato… il fieno o, a
volte, il lettino, che però spesso risultava inutilizzabile per le
pulci e le cimici che vi passeggiavano). I musicanti spesso si rendevano
protagonisti di episodi curiosi, che poi, veri o inventati che fossero,
si raccontavano tra loro per puro divertimernto ed anche per alleviare
in qualche modo i disagi che l’attività bandistica comportava.
I
musicanti di Pescosolido erano bravissimi e perciò ricercati dalle altre
bande. Sabatino Magnante, Peppino Cicchinelli e Francesco Cicchinelli
una
volta vennero ingaggiati dalla banda di un paese vicino, che aveva in
repertorio un pezzo caratteristico. Il pezzo si eseguiva così: metà
banda suonava sul palco, mentre l’altra metà se ne andava suonando per
i vicoli del paese. Bellissimo! Siccome i vicoli confluivano tutti nella
piazzetta, dove si trovava la cassarmonica, le due mezze bande potevano
tenersi in costante collegamento e pertanto l’esecuzione risultava
effettivamente caratteristica. Il pezzo, ogni volta che veniva eseguito,
riscuoteva un successo strepitoso. E, visto che riusciva così bene, fu
deciso di esportarlo alla Madonna della Pace, nella campagna di Sora. Però
lì non c’erano i vicoli e l’effetto caratteristico si perse in mezzo
ai campi aperti; sicché i musicanti, anziché dagli applausi, vennero
sommersi da un nutrito lancio di sedani, “ca
nenn’era tiémpe de pemmetòre”.
Tutti i canestri si vuotarono in un attimo (con grande disperazione dei
contadini, che persero la verdura che avevano portato lì per vendere). Sabbatine,
Cecchenèlle
e Cecchenellitte
se ne scapparono verso le Compre, imboccarono la passerella sul fiume Liri,
risalirono a Bagnoli, a Carletta, alla Forcella e si ripresentarono a casa
a qualche ora di notte. Da allora non andarono più a suonare con quella
banda: “petévane
ì senènne, pe fasse jettà glie sèllare apprésse? Eh!” A Villavallelonga
Fatto il giro per le
strade del paese, i musicanti andarono a mangiare, come al solito, chi
presso una famiglia chi presso un'altra. Il bimbetto andò con lo zio, posò
la tromba sulla sedia e si mise a mangiare con appetito; s'era rimpinzato
ben bene, quando si sentì arrivare un ceffone tra capo e collo.
-
Ih ih ih! Ih ih ih! - si
mise a strillare allora.
- Che è successo? Perché piange? - domandò la padrona di casa
preoccupata.
- Questo maleducato! - disse lo zio - Ha mangiato il latte, ha
mangiato i biscotti, ha mangiato le uova, ha mangiato il formaggio... e
ancora non gli basta: vuole anche un po' di quelle salsicce appese lì al
soffitto. Maleducato!
- Io non voglio nulla! - stava per rispondere il bimbetto tra le
lacrime, quando si sentì arrivare un altro ceffone che gli soffocò
la voce in gola.
- Eh, per tanto poco! - fece la padrona di casa. E andò a staccare
una decina di salsicce. Che il bimbo non mangiò,
ovviamente; ma lo zio... A Castel Madama
Eseguito il primo pezzo, quelli del comitato-feste salirono sulla
cassarmonica e dettero da bere ai musicanti, che bevvero a sazietà e
continuavano bere a più non posso.
- Basta, basta! - fece allora il capobanda, a cui stava a cuore sia
la salute che l'efficienza artistica dei musicanti
- Hanno bevuto abbastanza. Solo un altro bicchiere a me e basta.
Poco dopo, suonando il "Nabucco",
teneva il clarinetto scomposto in due, un pezzo in una mano e un pezzo
nell'altra; ma lui non se n'era accorto e suonava ugualmente, lui, come se
niente fosse.
A Roccasecca
Il maestro tra un bicchiere e l’altro racconta:
- Alla stazione aspettavo il treno per tornarmene a casa. Ma mi
distrassi dietro un accordo di settima (in quel periodo stavo componendo
"Mammoletta", una bellissima marcia sinfonica); sicché il treno
arrivò e poi ripartì. Potete immaginare il mio disappunto. Che fare? Era
notte, nevicava, in giro non si vedeva nessuno. Quand'ecco che, con mia
somma sorpresa, vedo il treno tornare indietro e quando mi fu vicino, si
fermò. "Maestro, via, sali che ti riporto a casa" mi fece il
macchinista (che era stato mio allievo, bravo sassofonista, eh). Mi aveva
riconosciuto allo specchietto retrovisore ed era tornato indietro a
prendermi.
- Che le balle facessero muovere un treno lo sapevo già; ma che
riuscissero anche a farlo tornare indietro non me lo sarei aspettato. –
bofonchia Francucce. Ad Avezzano
Quando ad Avezzano si tenne il raduno delle bande d'Abruzzo,
andammo anche noi. Non perché fossimo una grande banda, in quel momento;
ma perché bisognava suonare qualche marcia fin dalla mattina per le
strade della città, per creare un po’ d'atmosfera. Tutto bene, dunque;
tutto tranquillo, senza preoccuparci più di tanto. Alla sera sulla
cassarmonica cominciarono a salire le grandi bande: Chieti, Pescara,
Teramo, Lanciano... Che armonie, ragazzi! Che ripieni!
- I perché nu nó? Chiglie
scì i nu nó, i perché? - fece il piattista (che oltretutto suonava
ad orecchio, perciò di musica capiva poco).
- Statte zitta! -
gli disse qualcuno.
- No no! Tenéma senà pure nu! I perché nu nó?
- Statte zitta, ca chésse nenn’è robba pe nu!
- No no! Tenéma fa pure nu glie piézze.
E va bene, suoniamo pure noi, allora!
Salimmo sulla cassarmonica e cominciammo: papà,
papapà, pappà, pappà...
papà, papapà, pappà,
pappà... papapà, pappà,
pappà... Il “miserere” del
Trovatore! Ah, roba fine. Suonammo per un bel po', ed anche abbastanza
bene, perbacco. Solo che, arrivati alla fine del pezzo, chissà perché?,
ci ritrovammo a ricominciare tutto da capo, senza neanche accorgercene.
Quando il diavolo ti perseguita! E va bene! Facciamo finta di nulla e
continuiamo. ... Papà, papapà, pappà, pappà...
Papà, papapà, pappà,
pappà... Arrivati alla fine, ci ritrovammo per la seconda volta a
ripetere il pezzo da capo. Arrivammo nuovamente alla fine ed ancora una
volta ci ritrovammo a ricominciare da capo...
Fu allora che un prete lì sotto al palco (ma non doveva stare da
qualche altra parte, quello, che so io?, a dire la messa, a recitare il
rosario, a fare tutte quelle cose che fanni i preti?) esclamò ad alta
voce:
- Scendete, scendete! Non vi fate più compatire!
Che figura! Tutta colpa di quell'intrigante del piattista,
che non si faceva mai gli affari suoi. Il concerto in piazza
Il piattista, dunque, suonava ad orecchio in base ai cenni che gli faceva Bennardine, che suonava la grancassa.
Una sera in piazza il clarinetto, il flauto e il sax basso di zi’
Peppine stavano eseguendo un'aria struggente del "Pescatore
di Perle". Il folto pubblico ascoltava estasiato. Le note,
delicate e purissime, si stagliavano nette nel silenzio assoluto.
Quand'eccoti all’improvviso... zum zum zum... tre colpi tremendi,
inaspettati, lacerarono il silenzio. Bennardine,
sobbalzando, strillò al piattista:
- Eh! Che t'è secciésse, mó?
- Eh, me sié fatte
gli acciénne i ie so’ senate! -
rispose quello. -
Ma ch’acciénne
i acciénne?! Me stéva a scerrà ‘na mosca!
[1] Lino Ciccolini Arciprete, Pescosolido: Tradizione - Storia - Religione, Arpino 2001, p. 149. [2] Prestò servizio per 69 anni. Assunto nel 1861 (come dice la delibera di Giunta del 31.12.1925), rimase in servizio fino al 28 Gennaio 1930, giorno in cui firmò la sua ultima delibera di Giunta Municipale. - Archivio Comunale di Pescosolido, Aggiunta 2, B. 5. [3] Dal manifesto del 17 Aprile 1908 con cui a Monte S. Giovanni Campano si annunciano i festeggiamenti che, “con la consueta pompa”, si terranno il 22, 23 e 24 aprile in onore “della patrona Maria SS. del Suffragio... Il paese nei due giorni di sabato e domenica sarà rallegrato dal concerto cittadino, con scelto programma, diretto dal maestro Giuseppe De Benedictis: non che dal concerto di Pescosolido, risorto a nuova e brillante vita, diretto dal valoroso maestro Pasquale Puca di Pianella. Nelle suddette sere il paese sarà interamente e sfarzosamente illuminato a luce elettrica, che da circa un mese è stata impiantata dalla Ditta R. Ottavi & C. La facciata della Chiesa, per la circostanza, sarà illuminata con infinite lampade elettriche a vivaci colori…” – Biblioteca Comunale di Monte S. Giovanni (FR). [4] Andò ad abitare prima nel centro storico e poi a S. Maria. [5] Giovanni Tordone, Balsorano 1851 – 2001, Sora 2001, p. 94. [6] Luigi Guglietti, di Pescosolido, a 6 anni era rimasto cieco in seguito al vaiolo. Frequentò un istituto per ciechi, studiò musica ed imparò a suonare il flauto, l’ocarina e l’organo. [7] Deliberazione del Consiglio Comunale n. 32 del 30 Agosto 1910 (Sindaco Ulderico Mariani; consiglieri Andrea Catenaro, Alfonso Corsetti, Giovanni Di Pucchio, Cav. Alfonso Mariani, Giuseppe Sangermano, Paolo Sarrecchia, Raffaele Speranza e Giuseppe Tersigni). – Archivio Comunale di Pescosolido, Aggiunta 2, 1380, 190. [8] Nel passato i comuni meglio attrezzati erano quelli che possedevano boschi, che, venduti, permettevano di far fronte sia alle spese ordinarie che a quelle straordinarie. Pescosolido, avendo tanti boschi in montagna, era uno di questi comuni fortunati. I privati cittadini, però, versavano in condizioni economiche disastrose e perciò erano costretti ad emigrare (nell’America del Nord specialmente) o a spostarsi stagionalmente nella Campagna Romana. Solo i musicanti dimoravano stabilmente in paese, poiché, seguendo la banda nelle varie feste paesane (che allora erano molto più numerose di quelle attuali), guadagnavano il necessario per far fronte alle esigenze più immediate. Fino agli anni ’40, però, poiché dopo anch’essi abbandonarono il paese e se ne andarono altrove. [9] Lettera del 12 Dicembre 1916 – Archivio Comunale di Pescosolido, Aggiunta 2, 1380, 190. [10] I “fasci italiani di combattimento” sorsero il 23 marzo 1919 su iniziativa di Benito Mussolini e praticamente coincisero con la nascita del Fascismo in Italia. Nell’Enciclopedia Pomba U. T. E. T., alla voce Fascismo, è detto: “I Fasci di combattimento, fondati nelle più importanti città ed anche in piccoli luoghi, avevano dato eroica prova della loro salda compagine combattendo nelle vie e nelle piazze i più forti nuclei bolscevizzanti e diffondendo col martirio le loro idealità rigeneratrici della Patria”. Invece nel Dizionario Enciclopedico Italiano (Treccani), alla stessa voce, si parla di “una serie di rappresaglie su scala nazionale contro i socialisti (occupazione di municipi, fra cui quello di Milano, distruzione di camere del lavoro e di sedi di cooperative, attacco a interi quartieri cittadini…).” Però bisogna tener conto che l’Enciclopedia Pomba vide la luce nel “1942-XX” (cioè in regime fascista), mentre il Dizionario Enciclopedico Italiano (che ho io) vide la luce nel 1970, in questa nostra bella Italia democratica e repubblicana. Evidentemente anche per la stampa più qualificata a volte vale il detto “A mé chi me battézza m’è chempare”. [11] Si trattava, sì, dello Statuto albertino (promulgato il 4 marzo 1848), ma modificato e piegato alla concezione fascista dello Stato (con legge 24.12.1925), in base alla quale il Capo del Governo (Duce), sia per gli atti compiuti che per l’indirizzo politico generale, era tenuto a rispondere solo al Re che lo aveva nominato (con esclusione, quindi, del Parlamento). [12] Il podestà sostituì il sindaco nel periodo che va dal 1926 al 1943/45. Era di nomina centrale, veniva assistito dal segretario comunale e da una consulta nominata dal prefetto. Vincenzo Leone di Sora venne nominato podestà di Pescosolido con Regio Decreto dell’8.7.1926. [13] Deliberazioni del 17.4.1926 (L. 300), del 20.11.1926 (L. 500), del 26.4.1927 (L. 600), del 24.6.1927 (L. 1.000) e del 24.9.1927 (L. 1.000) – Archivio Comunale di Pescosolido, Aggiunta 2, B 5. [14] Giunta Provinciale Amministrativa, che equivaleva all’attuale Comitato Regionale di Controllo (Co. Re. Co.), organo collegiale di controllo sulle amministrazioni degli enti locali. [15] Decisione adottata il 2 Giugno 1927 dalla G.P.A. di Frosnone.- Archivio Comunale di Pescosolido, Aggiunta 2, 1380, 190. [16] Deliberazioni del 5.2, 19.3 e 24.6.1927. – Archivio Comunale di Pescosolido, Aggiunta 2, 1380, 190. [17] L’elenco, datato 1° Novembre 1927, comprendeva Mancini Francesco (cancellato poi con un segno di matita), Toto Giovanni, Neri Donato, Giovannetti Nicola, Giovannetti Domenico, Giovannetti Giovanni, Corsetti Nino, Ciccolini Natalino, Ciccolini Vincenzo, Ciccolini Carlo, Cicchinelli Giuseppe, Neri Giuseppe, Giovannucci Francesco, Sarrecchia Francesco, Sarra Alfonso di Luigi, Palmerini Domenico, Sarrecchia Domenico, Di Sarra Angelo, Coco Aurelio, Scenna Giuseppe, Di Sarra Alfonso, Cancelli Francesco, Scenna Giuseppe e Mancini Pasquale. [18] Archivio Comunale di Pescosolido, Aggiunta 2, 1380, 190. [19] Romolo Sarrecchia (clarinetto) a Frosinone, Peppinuccio Sarrecchia (flicornino Mib) e Pasquale Sarra (trombone) a Roma, Nicolino Neri (clarinetto) e Nicolino Giovannetti (sax basso) ad Avezzano, Francesco Mancini (ottavino), Angelantonio (tromba Mib) ed Eliso Petricca (trombone) ad Ardea (Roma). [20] Giuseppe Scenna (flicorno basso), Francesco Ciccolini Quartine (clarinetto), Carlo Ciccolini Mastrangele (clarone), Valerio Coco (basso Sib). [21] Alfonso Sarra (1896-1978) iniziò la carriera bandistica suonando il bombardino e continuò poi con la grancassa. Nella banda faceva tutto lui: prendeva accordi con il maestro, contrattava le feste, reperiva i forestieri di rinforzo, corrispondeva ai musicanti la “giornata”, la “diaria” e il rimborso per le spese di viaggio (se spettava). Di professione faceva il calzolaio ed insieme alla moglie Marietta conduceva una frequentatissima cantina, il cui locale, piuttosto ampio, fungeva anche da bottega artigiana (in un angolo c’era il deschetto), da segreteria della banda ed anche da sala da concerto. Pensare alla banda di Pescosolido senza pensare ad Alfonze Bennardèlla è impossibile, oggi. Gli fu conferita anche una medaglia d’oro per l’attività svolta a favore della banda (animatori dell’iniziativa furono il sindaco Paolino Panetta, il parroco don Lino Ciccolini, il capobanda artistico Nino Toto, il colonnello Fulvio Buffone, il maresciallo Aldo Ciccolini ed inoltre Angelo Ciccone, Belisario Tersigni, Idolo Sarra, Paolo Guadagni, Giuseppe Giovannetti (Giorgio), Francesco Marchione, Antonio Cancelli, Pasqualotto Sarra e Argo Macciocchi). [22] Giovanni Toto (1916-1983), barbiere ed ottimo suonatore di clarinetto in Mib nonché di mandolino (con cui rallegrava chi si attardava nella sua bottega). Era sempre gioviale e ben disposto verso il prossimo. [23] Giuseppe Cicchinelli (1888-1983), calzolaio, da ragazzo aveva suonato il flauto e poi il sax soprano. Quindi era divenuto un bravissimo e ricercatissimo suonatore di sax basso. Oltre che in quella di Pescosolido, militò nelle bande di Sora, Veroli, Villavallelonga, Pescina e Monte S. Giovanni Campano. Seguì il figlio Luigi in Canada e qui fu protagonista di una tenerissima storia d’amore: alla bella età di 88 anni si sposò con Maria Rossi, che aveva 82 anni ed era originaria di Verona. [24] Francesco Cicchinelli (Ceccucce), falegname, nipote di Giuseppe Cicchinelli, suonava molto bene il bombardino. Anch’egli negli anni ’60 emigrò in Canada con la famiglia stabilendosi a Toronto. Qui chi andava a fargli visita, si meravigliava nel constatare come una piccola statua lignea di S. Antonio, che Ceccucce teneva in casa, con il passar degli anni diventasse sempre più pesante, fino a che nessuno più riuscì a spostarla. “Sarà stata bullonata” diceva il solito pettegolo. Ma Ceccucce assicurava che non ci aveva fatto proprio nulla, lui. [25] Francesco Sarrecchia (1883-1965), muratore. Bellissimi ed applauditissimi i suoi “assolo” nella Traviata, nel Barbiere di Siviglia, nella Lucia di Lammermoor, nella Norma ecc. [26] Giuseppe Appugliesi emigrò poi in Canada, dove fece l’impresario edile e, come tanti altri Pescosolidani, con il lavoro e l’intelligenza fece onore al paese natio (oltre che a se stesso). A Toronto nel 1962 divenne presidente della “Società Pescosolido”, l’associazione ivi sorta per “mantenere unite le genti del nostro paese d’origine, conservare per le generazioni future le nostre tradizioni, il nostro amore e la nostra fede per la Madonna della Misericordia e per i SS. Patroni del paese” (dell’associazione, però, non facevano parte gli emigrati di Forcella e dintorni, che si organizzarono diversamente, fondando altre due associazioni: la “Società San Marco” nel 1963 e l’”Associazione San Rocco – Forcella” nel 1977). [27] Francesco Romano Sarrecchia (1936-2001), aveva un orecchio finissimo, si arruolò poi nella Polizia di Stato, nella cui banda, a Roma, continuò a suonare il tamburo. [28] Una volta il giovinetto, volendo prendersi una vacanza, disse: - Maestro, domani non verrò a scuola, poiché avrò la febbre. - Elena, prendi il fucile, ché lo voglio ammazzare! – urlò il maestro Alessandro, che oltre ad essere esigentissimo, era anche severissimo e molto nervoso. Il giovinetto scappò per la paura; ma il giorno successivo si ripresentò puntualmente a scuola con la lezione preparata perfettamente (come al solito). [29] Giovanni Tordone, Balsorano 1851-2001, Sora 2001, pp. 108 e 109.
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