II
Dopo
i due volumi su Lacerno e la gloriosa Società Operaia di Mutuo Soccorso,
Ottavio Cicchinelli fa omaggio ai suoi compaesani di un lavoro sulle
tradizioni popolari di Pescosolido scritto in un italiano gradevole ed
accattivante e tale da coinvolgere nella lettura ogni strato sociale.
L’opera
è frutto di una capillare ricognizione sul territorio tesa a registrare
antichi saperi, proverbi, modi di dire e racconti che, altrimenti,
sarebbero stati condannati a sicura dispersione. Il materiale raccolto e
trascritto, per la sua estrema eterogeneità, non era facilmente
presentabile al lettore ma, nonostante questa difficoltà iniziale, il N.
ha saputo saggiamente organizzare i dati raccolti affiancando agli stessi
una breve ma esauriente descrizione del territorio comunale ed una
raccolta di immagini fotografiche.
A
proposito del paesaggio agrario il volume ospita due interessanti capitoli
riservati rispettivamente alla secolare controversia con la limitrofa
Campoli Appennino circa il possesso di alcuni possedimenti siti nelle zone
di Acque Vive e del Serrone ed ai fontanili che numerosi, come nella non
lontana Alvito, punteggiano le campagne di Pescosolido. Di alcune fontane
il N. riporta anche l’anno della loro monumentalizzazione: il 1627 per
quella di Chiarenzo, il 1827 per le Acque Vive ed il 1852 per la fonte di
Carovenzo. Siamo di fronte ad un’altra chiara dimostrazione della
costante attenzione rivolta dai nostri antenati al problema del razionale
sfruttamento delle risorse idriche così necessarie per l’attività
pastorale che, al pari dell’emigrazione stagionale dei braccianti verso
la Campagna Romana, costituiva l’asse portante dell’economia locale.
In
questa sede mi piace segnalare alcuni fra gli argomenti più interessanti
affrontati dall’A. e supportati quasi sempre dall’ausilio di inedita
documentazione archivistica e da episodi tramandati di generazione in
generazione che, spesso, chiariscono o danno maggior forza o forniscono
nuovi indirizzi di ricerca al dato documentario per sua natura alquanto
freddo.
In
primo luogo il ruolo educativo e sociale rappresentato dalla banda
musicale cittadina alla quale, ancora negli anni precedenti il secondo
conflitto mondiale, era affidato il delicato ruolo di rappresentare
l’intera comunità nei territori circostanti ed in centri anche lontani,
quali ad esempio Ardea, sicuramente frequentata da compagnie di braccianti
rurali (“bracciali”) reclutati nelle campagne di Pescosolido.
Al
mondo islamico presente o influenzante per molti secoli la cultura del
nostro Sud va ricollegata la figura di “babbaciéglie” testimoniata
anche a Sora in via Cittadella; si tratta di un folletto che la tradizione
vuole convivere con noi all’interno delle mura domestiche ed autore di
piccoli scherzi o sparizioni di oggetti a noi cari.
Le
campagne di Pescosolido, come quelle delle limtrofe Arpino e Sora, erano
anche popolate da streghe e fate e si caratterizzavano per veri o supposti
tesori e gruzzoli monetali opportunemente nascosti all’interno di
spaccature rocciose, di grotte o sepolti sia in epoca romana sia in età
ottocentesca quando buona parte della Media Valle del Liri fu interessata
al fenomeno del brigantaggio dapprima antifrancese e, quindi,
anti-unitario.
Completa
il volume un vocabolario del dialetto pescosolidano nel quale, sovente,
sono annotate anche le varianti registrate nelle frazioni rurali; esso
viene preceduto da note dedicate ai piatti della cucina tradizionale
alcuni dei quali trovano precisi confronti nella contigua Valle Roveto o
tradiscono il preponderante ruolo avuto dal granturco nell’agricoltura
dei secoli passati. In primo luogo la polenta – che obbligatoriamente
deve essere mangiata “in unico grande piatto, scifa o taveruózze che
sia, in modo che tutti si siedano intorno e mangino ciascuno dalla propria
parte” – e la “pizza roscia”, cotta sotto il coppo ed imbottita di
cicoria o rape e di saporiti ciccioli di maiale.
Il
Cicchinelli documenta poi anche un dolce tipico della tradizione lirina
(la pigna) ma, a differenza di quanto testimoniato per Aquino dal De Marco
in Archivio per la raccolta e lo studio delle tradizioni popolari
italiane, XIII, 1938, essa non sembra avere incastonate uova che con la
cottura diventano sode.
Degna
di rilievo è anche l’attestazione della distribuzione di “ranète”,
chicchi di mais cotti in acqua salata ed offerti un tempo dai contadini ai
bambini in occasione della festa che si tiene il 17 gennaio in onore di
Sant’Antonio abate. Tale usanza, anche se in circostanze differenti,
attraversa come già a suo tempo indicato dal celebre Antonio De Nino, la
cultura popolare della Sabina, dell’Abruzzo e della Media Valle del Liri
sia in ambiente cittadino sia nelle campagne.
Eugenio
Maria Beranger
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